Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

November 24, 2024 at 3:15 am

I passeggeri del mese: Emilio Marrese

I passeggeri del mese: Emilio Marrese

Oggi parliamo con grande piacere con Emilio Marrese, giornalista, firma di Repubblica e scrittore, nato a Napoli, vissuto e cresciuto a Bologna, da qualche anno abita a Roma. Emilio ha da poco pubblicato con Piemme il romanzo “Il buio ha paura dei bambini”.  E’ anche autore di documentari, con il suo Via Volonté n.9, prodotto da Fandango, ha vinto la sezione dedicata del Rome Independent Film Festival e lo scorso anno, ha raccolto un grande successo con “Il Cielo capovolto – 7 Giugno 1964 lo scudetto del Bologna”, docufilm sull’ultima affermazione nazionale della squadra rossoblu, prodotto dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Rai Eri.

Chi è Emilio Marrese?

Uno che detesta autodefinirsi… Adesso dovrei risponderti con qualcosa di brillante, simpatico, accattivante, giusto? Mi hai già messo in difficoltà alla prima domanda. Me la faccio spesso anche io e non so rispondermi. Proviamo. Dunque. Un giornalista che ogni tanto si diverte a fare altro. Uno che cerca di non prendersi troppo sul serio, mai, il che non significa non fare le cose sul serio, anzi: la leggerezza è una cosa serissima.

Il tuo ultimo romanzo, “Il buio ha paura dei bambini” edito Piemme, racconta la storia di Angelo, bambino costretto dagli eventi a cambiare città. Da Napoli arriva a Bologna. Non è solo la città a cambiare, cambia anche famiglia. La storia di Angelo può somigliare a quella di molti altri. Rifiutati, con difficoltà di integrazione. Come mai hai voluto affrontare queste tematiche dal punto di vista di un bambino? Inoltre volevo sapere da te come definisci “il nero” che serba dentro Angelo?

Mi piace, nella vita così come nella letteratura e nella cinematografia, lo sguardo dei bambini sul mondo: acuto, irriverente, sorprendente, puro, diretto. Mi piacciono i loro occhiali, i loro aggettivi. Tengo a precisare che non si tratta di un manuale di sociologia o pedagogia: è un romanzo, leggero con qualche contenuto, che sfiora alcune tematiche ma che fondamentalmente ha l’obiettivo di catturare e intrattenere, di far spendere bene tre ore di tempo al lettore. Tra i temi che sfiora c’è anche l’integrazione, un’esperienza che ho vissuto di persona, essendomi trasferito a Bologna da Napoli quando avevo sei anni. Quindi sono tornato indietro a ripescare sensazioni, umori, difficoltà, sofferenze ma anche soddisfazioni di quel periodo non semplice. Il “nero” di Angelo è come quello che hanno dentro i polpi: è quella scorta di acido, di cattiveria, che tutti o quasi abbiamo dentro e con cui dobbiamo fare i conti. Quella parte di noi che non amiamo e che spesso ci porta a fare o dire cose sbagliate, brutte, pesanti. Per poi quasi sempre pentircene. Ma per molti è un riflesso o un’esigenza fisiologica: preferisco chi butta fuori, piuttosto di chi tiene tutto dentro. Diffido molto più dei secondi, buoni solo all’apparenza. E anche i bambini sono specialisti nel dire cose terribili, ai genitori, ai maestri, ai professori, ai coetanei. È un sistema di autodifesa, anche, quasi grottesco, innocuo, come fanno appunto i polpi o le seppie se si sentono attaccate: uno schizzo nero di nessuna efficacia, fa quasi tenerezza. Buono per gli spaghetti.

Emilio, non sei solo un giornalista sportivo e uno scrittore, ma hai dato un contributo di grande livello anche nel mondo dei documentari. Il tuo primo lavoro è stato “Via Volontè n.9” per Fandango, mentre nel 2014 è uscito “Il cielo capovolto” per la Cineteca di Bologna, in cui ci hai fatto rivivere l’ultimo scudetto del Bologna Football Club. Scrittura e macchina da presa quindi, in quale dei due mondi ti senti più a tuo agio? Ci racconti in qualche parola com’è nato il progetto de “Il cielo capovolto”?

Sicuramente preferisco scrivere, e infatti anche nei documentari è fondamentale la parte di scrittura, di pensiero che c’è dietro. Mi piacerebbe anche saperle realizzare tecnicamente queste idee, ma a ciascuno il suo mestiere e quindi è giusto che le riprese e il montaggio le effettui chi ha più occhio, capacità ed esperienza. “Il cielo capovolto” è nato nell’estate del 2013 dalla voglia di raccontare quell’impresa in modo originale affondando però mani, testa e piedi negli archivi per entrare nel dettaglio e conoscere anche quell’epoca, quel periodo, non solo sul piano calcistico, allo scopo di realizzare un racconto più caldo, completo, emozionante, romantico di quell’avventura. Immodestamente, grazie a Paolo Muran e Cristiano Governa, posso dire che ci siamo riusciti, a giudicare dalla risposta del pubblico.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sopravvivere in modo sereno e divertente. Ho quattro o cinque idee per un altro docufilm, sportive e non: vediamo quale si riuscirà a concretizzare.

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