Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

November 25, 2024 at 1:17 am

I passeggeri del mese: Simona Baldelli

I passeggeri del mese: Simona Baldelli

Oggi parliamo con piacere con Simona Baldelli scrittrice nata a Pesaro, oggi vive a Roma. Il suo esordio è del 2013 con “Evelina e le fate”,  romanzo finalista al Premio Calvino e vincitore Premio John Fante opera prima. Il tempo bambino è il suo secondo romanzo uscito nel 2014. Entrambi i romanzi sono editi Giunti.

Chi è Simona Baldelli?

Va bene, ti rispondo in terza persona, come i matti: “Simona Baldelli nasce a Pesaro, là dove le Marche sfumano nella Romagna.E viceversa. Sa tirare la sfoglia a mano, impastare piadine, fare passatelli. Ha due cagne, Cippa e Olga, che la obbligano ad alzarsi all’alba per andare a scorrazzare per parchi e stagni, e a mettersi al computer ad un’ora decente. Questi, i tratti salienti, il resto è mera cronologia. Ha un diploma d’attrice, esperienze in teatro, radio e cinema. Si occupa anche di regia e drammaturgia. Disordinata per natura e propensione, mette a frutto questa preziosa dote nell’organizzazione di manifestazione ed eventi che, va a capire come, porta comunque a termine. Ama la parola, (pensata, detta, letta, scritta, evocata).” Ho dato un’idea?

Il tuo ultimo romanzo, “Il tempo bambino” edito Giunti, ci racconta una storia di solitudine e di fragilità. Attraverso gli occhi di un uomo che aggiusta orologi e gli occhi di bambine che hanno un’infanzia difficile che le costringe a diventare grandi troppo in fretta. Ci puoi parlare del rapporto tra Mister Giovedì e Regina?

Il rapporto fra i due protagonisti nasce dal bisogno di raccontare che non sempre le famiglie sono un luogo di cura e di amore e che non è vero che “son tutte le belle le mamme del mondo”. Esistono, purtroppo con una certa frequenza, famiglie dove ci si passa di mano in mano il testimone del dolore, una tragica staffetta che a volte finisce negli orrori della cronaca. A volte sono vittime i bambini, a volte madri, mogli, sorelle. Ho voluto inoltre fare una riflessione sull’infanzia, su come la vediamo, in alcuni casi sfruttiamo, le nostre proiezioni sul futuro, insomma. Per raccontare questa realtà “altra” ho cercato di costruire uno spazio molto circoscritto all’interno del quale chiudere tutti i personaggi e richiedendo, al lettore, una buona dose di immedesimazione e di immaginazione, come fossero parte della vicenda. Il lavoro di “immaginazione” (come se i lettori fossero attori che si muovono sulla scena insieme ai personaggi del libro) potremmo riassumerlo così. Immaginiamo quello spazio che, per ogni bambino, rappresenta il mondo. Uno spazio fatto di persone e sentimenti. Aspettative e sogni. Fiducia, rispetto. Un luogo dove le paure diventano sicurezze e, i dubbi, certezze. Dove imparare a diventare grandi. Immaginiamolo confortevole, quello spazio. Abitato da persone sagge, amorevoli e benevole. Che ci proteggono dal buio e da ciò che cattivo. Immaginiamo, per un attimo, che non sia così.Togliamo, in quello spazio, la fiducia e il rispetto. Lasciamo che le paure e i dubbi rimangano tali. Leviamo, ma così, per puro gioco, le persone amorevoli e sagge. Facciamo che restino il buio e le cose cattive. E adesso immaginiamo qualcuno, (io lo chiamo Mr. Giovedì), che è vissuto in uno spazio simile. Per tanto, molto tempo. Un tempo che è passato lento, così lento che non è ancora finito, da non diventare grandi mai. Mr. Giovedì, però, ha imparato a dominarlo, il tempo. L’ha tagliato, sminuzzato, pesato e stimato. Aggiusta e ricostruisce orologi. Mr. Giovedì oggi è un uomo adulto, anche se ha cominciato a rattrappirsi e ha ancora paura del buio. E poi c’è la Regina, che è ancora piccola, anche se vorrebbe sembrare più grande. E lei, invece, vorrebbe che il tempo corresse veloce. Noi non sappiamo se la Regina ha abitato uno spazio amorevole oppure no. Sappiamo solo che ha paura dell’insalata e che non ha mai assaggiato pane, burro e zucchero. E che ha le unghie laccate. Un giorno, si incontrano, fuori dal tempo che noi conosciamo, diverso da quello che abbiamo imparato a sezionare in ore, minuti e secondi. Un tempo che ha alternanze diverse e uniche. È il tempo bambino.

Il tuo primo romanzo “Evelina e le fate”, edito sempre da Giunti, è stato tra i finalisti del Premio Calvino nel 2012 e vincitore del Premio John Fante Opera Prima 2013. Ci puoi raccontare com’è nato questo progetto?

Evelina e le fate, è una storia che mi appartiene da sempre. Evelina è mia madre e, nel ’44, anno in cui è ambientato il mio libro, aveva esattamente cinque anni, come la protagonista della storia. Tutto quello che racconto (fate incluse!) è realmente accaduto o a lei, o ad altre persone che conosco e che ho inserito nella vicenda; il paese descritto, Candelara, è lo stesso in cui mia madre è nata e cresciuta e il casolare dove Evelina vive con la famiglia è esattamente quello in cui è vissuta e che io stessa ho più volte visitato. La voglia di raccontare questa storia mi è venuta qualche anno fa, quando si cominciava a parlare delle celebrazioni per il 150mo dell’Unità d’Italia. Vedendo e ascoltando le molte reticenze al riguardo, i distinguo sull’opportunità o meno di celebrare quella data, le differenze fra chi era “più” o “meno” italiano di altri, ho provato una rabbia grandissima che mi ha fatto decidere di contribuire a quell’evento, nel mio piccolo, raccontando e ricordando uno di quei centocinquanta anni. Per altro, una delle pagine fondanti e principali della storia moderna del nostro Paese. Ma poiché ogni autore che scrive un romanzo “storico”, lo utilizza a metafora del proprio tempo, ho raccontato fatti accaduti settanta anni fa, con la precisa intenzione di parlare di “oggi”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Scrivere. Sono davvero convinta che il tempo degli scrittori si divida esattamente in due parti: la prima è dedicata alla scrittura, la seconda al tempo che si passa a sognare ad occhi aperti le storie che metteremo su carta. In concreto, sono alle prese con il mio prossimo romanzo che dovrebbe essere pubblicato ad inizio 2016.

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