Oggi parliamo con grande piacere con Valerio Varesi, nato a Torino nel 1958, vive a Parma e lavora nella redazione de La Repubblica di Bologna. Creatore del commissario Soneri, protagonista dei romanzi che hanno ispirato la serie televisiva “Nebbie e delitti” con Luca Barbareschi. I suoi romanzi sono tradotti all’estero e nel 2011 è stato finalista al CWA International Dagger. Lo stato di ebbrezza (ed. Frassinelli) è il suo ultimo romanzo.
Chi è Valerio Varesi?
Come posso definirmi? Uno scrittore prestato al giornalismo il quale non sa di che farsene? Oppure uno che, lavorando in un giornale, attinge personaggi e situazioni destinate a diventare muscoli e ossa dei suoi racconti? Oppure ancora, un individuo sensibile che, dentro il flusso della cronaca, si impressiona come una pellicola e restituisce immagini sintetiche di quel che gli passa sotto gli occhi cercando di coglierne il senso visto che la cronaca, un senso, molto spesso non ce l’ha? Un po’ di tutto questo.
Nel tuo ultimo romanzo “Lo stato di ebbrezza” possiamo dire che, oltre a Domenico Nanni, la grande protagonista sia l’Italia? Ci racconti, con una chiave tragicomica, gli ultimi trent’anni del nostro Paese. Da Ustica agli ultimi atti del craxismo, dall’ascesa di Berlusconi e della Lega Nord, passando per le stragi di mafia, sino a posare gli occhi su uno scandalo finanziario imponente come quello della Parmalat. Quali credi siano state le falle nel sistema che abbiano permesso a politici spesso inadeguati di rischiare di compromettere il nostro Paese? Quale visione hai del sistema Italia?
Il dramma italiano, ma non solo italiano, direi di tutto il mondo occidentale, è una gravissima crisi culturale. Si pensa che il problema sia l’economia che non funziona più in preda al mercato selvaggio, ma la realtà è un’altra. La politica, e quindi le idee, in definitiva la cultura, s’è eclissata dopo la morte delle ideologie. Col crollo dei Paesi comunisti, sono crollate anche le narrazioni della storia, comprese quelle che si opponevano al collettivismo sovietico. In questo vuoto ha fatto irruzione l’economia, vale a dire i grandi potentati che controllano la finanza e gran parte dell’impresa, quella sopravvissuta alla finanza stessa. Senza più un “contratto sociale”, senza più idee e cultura a imbrigliare i più divoranti istinti del mercato, quest’ultimo ha preso il posto della politica improntando la nostra vita ed erigendo il valore di scambio a unico parametro regolatore. Ma il mercato senza briglie crea mostruose disumanità, cancella ogni forma di democrazia e alla fine si autodistrugge come abbiamo visto con la crisi dei “subprime”. In Italia tutto questo si è tradotto in una danza farsesca. Agli artifici della finanza, si sono aggiunti gli artifici degli imbonitori di una politica fasulla. Alla realtà si è sostituita l’invenzione.
Domenico Nanni è giornalista, come vive la sua professione il tuo protagonista? Quale credi sia lo stato di salute del giornalismo e dell’informazione in Italia oggi?
Nanni è stato per poco tempo giornalista. Quando ha capito che c’era di meglio per sviluppare il suo talento, ha sposato la professione del “pierre” e del pubblicitario, cioè colui che vende fumo e fa acrobazie con parole e immagini. Il giornalismo stampato ha cominciato a decadere con la tragedia del Vermicino, quando la televisione ha mostrato la sua potenza invasiva e la sua capacità di raccontare i fatti nel momento in cui accadono. Oggi il giornalismo è molto ancillare e autoreferenziale. Non c’è più la voglia di scoprire, di sondare il nuovo. Il web ha poi trasformato la professione. Oggi il lettore, “guarda le figure” e non legge che qualche titolo o beve didascalia. Ci si allinea alla superficialità dell’istante senza passato né futuro oggi predominante.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Sentiremo parlare presto del tuo commissario Soneri?
Soneri non morirà, questo è certo. Il prossimo libro non è ancora definito. Potrebbe essere un romanzo sulla modernità, un noir o un’avventura del mio commissario.