Ogni giorno muoio e ogni notte nasco di nuovo.
La facilità con cui tutto cambia e si trasforma in una squallida copia di quello che era è imbarazzante.
Felici?
Infelici?
Tutto è in quella zona fra ombra e luce, sottile, indecifrabile. Si rintana nelle parole delle persone interessanti e negli sguardi negati, in quelli rubati, in quelli consapevoli.
Ci sono condizioni nelle quali si farebbero follie, basterebbe un cenno, un assenso, non per dare abito a codardia, per salvarsi il culo se le cose non vanno nel verso giusto, un SI’ è l’equivalente del lo voglio anche io, del ci credo, del grazie di aver pensato a me.
Felici?
Infelici?
Irrisolti. Come noi.
Questa storia è come i trucchi degli illusionisti: c’è ma non si vede.
Questa è la storia di chi si ferma a pensare dietro un portone appena chiuso e di chi fa il primo passo verso casa avendo salutato chi, quel portone, lo ha appena varcato.
Tu che stai dietro quel portone, cosa pensi? Che è simpatico? Che sa parlare? Che cosa pensi? Lui, quello che cammina verso casa sotto una sottile pioggia vorrebbe saperlo.
Tu che cammini, con la sigaretta fra le dita, che affretti il passo per non farti bagnare dalla pioggia, tu, a cosa pensi? Ai suoi capelli? Al sorriso storto che però affascina? A cosa pensi? Lei, che frettolosa ha chiuso il portone del suo palazzo, vorrebbe saperlo.
Voi due, fottuti imbecilli, schiavi del non detto.
“Il resto è storia recente, caro commissario!”, l’uomo di fronte a me ha ascoltato pazientemente e in silenzio la mia ricostruzione dei fatti, ho deciso di confessare quando ho capito che non c’era più modo di uscirne, quando è stata mostrata quell’unica prova schiacciante, quell’oggetto che sancirà la mia condanna: quella dannata sciarpa gialla.
Quando ho gettato il corpo del ragazzo nel cassonetto ho commesso il fatale errore di pulirmi il sangue dal collo con quella sciarpa, con l’arma del delitto, purtroppo avevo perso lucidità nella lotta feroce di qualche istante prima, già intuivo che sarei stato vicino alla fine, ma non sono stato in grado di porvi rimedio. Forse ho voluto che mi trovassero, che capissero chi fossi e cosa avessi commesso in questi otto anni: ho confessato tutti i miei trenta omicidi, l’ubicazione dei poveri resti delle mie vittime e le modalità dei loro omicidi. Mi sono arreso, con piacere, a questo commissario così intelligente e scaltro, certo, ma anche aiutato da due miei grossolani errori.
“Direi che la nostra chiacchierata mio caro commissario è finita, le ho confessato tutto, quindi ora vorrei conferire con il mio legale e fumarmi una sigaretta in santa pace.”, lui mi guarda interdetto, “Scusi, ma crede di essere nella condizione di dettare legge? Non scherziamo, voglio sapere il perché? Mi dica cosa l’ha spinta a commettere queste brutalità!”, chiudo gli occhi e sospiro, “Commissario, avevamo iniziato così bene e ora lei mi offende?! No, ora non avrà più una mia parola fino all’arrivo del mio legale, sono spiacente!”, se ne va sbattendo i pugni sul tavolo.
Sono solo nella stanza degli interrogatori, mi accendo una sigaretta, quell’uomo non sa di aver commesso un errore imperdonabile.
Finisco di fumare e guardo la sciarpa gialla davanti a me, mia condanna e mia salvezza. Troveranno il mio corpo impiccato al termosifone, concludere la mia vita in questo modo mi dispiace, ma al momento non vedo vie d’uscita, pagherò i miei errori, ma non è della giustizia degli uomini che vado in cerca.