(Chi mi conosce, sa che sono un provocatore, indi si prega di non rompere le palle)
Siamo un paese che non gioisce dei successi del proprio cinema.
Siamo un paese che permette ad un imbecille di contrattare una legge elettorale assieme ad un pregiudicato.
Siamo un paese che lascia due fanti di marina a morire in un paese del terzo mondo.
Siamo un paese che si vanta e vanagloria di successi passati e che ora naviga nella merda.
Siamo un paese che è al cinquantasettesimo posto al mondo per libertà di informazione, dopo Botswana e Niger.
Siamo un paese che è all’ottantaseiesimo posto al mondo per libertà economica, dopo Kuwait, Azerbaijan, Samoa e Kirghizistan.
Siamo un paese che è al quarantatreesimo posto al mondo per felicità, dopo Trinitad & Tobago, Cipro, Thailandia e Suriname.
Siamo un paese che si parla addosso e non conclude un cazzo.
Siamo un paese che soffre in silenzio.
Siamo un paese che urla e nessuno se lo caga.
Siamo un paese che piange e nessuna madre ci consola.
Siamo un paese in cui solo una esigua minoranza combatte con proiettili di carta contro corazzate invincibili, il resto della baracca s’adegua e cambia casacca.
Siamo un paese che cerca scorciatoie inutili e dannose.
Siamo un paese che rivergina puttane e stupra indifesi.
Siamo un paese che, pur di mantenere l’orticello integro di quei poveri stronzi, che non si accorgono che ci stanno avvelenando la vita, abdica e vende il futuro dei figli per trenta denari come quel porco di Giuda.
Siamo un paese che, purtroppo, non ha finito di vivere.
Siamo un paese che critica chi prova a cambiare.
Siamo un paese che fa cagare.
Siamo italiani.
Siete italiani.
Io non sono più nulla.
Sono io, con le mie idee, il mio coraggio, la mia verità e la mia voglia di vender cara la pelle.
Restituite le carte d’identità ai comuni, le tessere elettorali. E’ una proposta.
Non vi va? Tant’è.
Siamo italiani.
(La provocazione termina qui, contento di rimanere inascoltato, con la coscienza pulita d’avervelo urlato. I trenta denari li ho, per ognuno di voi.)