Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

L’ultima stazione del mio treno

21/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Futuri

Futuri
Il tempo è noioso, antipatico, scostante, veloce, non sa farsi apprezzare, è rumoroso, chiassoso, stupido.

Il futuro non è più quello di una volta.

Tu non sei più quello che eri quando hai iniziato a pensare.
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19/07/11 L'ultima stazione del mio treno

L’ultima stazione del mio treno

L’ultima stazione del mio treno
Sono arrivato presto alla stazione, una domenica mattina di Gennaio, faceva freddo, una fitta nebbia avvolgeva questa grande infrastruttura della mia città.

I miei bagagli non erano molti: una valigia con qualche camicia e maglione, due paia di jeans, un abito elegante, qualche libro e un portatile dove scrivere l’unica storia che avessi davvero voglia di raccontare: la mia.

Il mio treno è arrivato, stancamente, al binario. Il respiro prima di entrare nel vagone, la contrazione muscolare nel alzare la valigia, il primo passo verso il futuro.

La prima stazione del mio treno.

Il bello di fermarsi ad ogni stazione è il poter vedere le persone: nei loro atteggiamenti, nei loro movimenti, chi parte, chi resta, chi nel saluto vive e chi nel saluto muore. La vita si divide solo così: c’è chi vive e chi muore. Tutto il resto è congettura, pettegolezzo e masturbazione degli eventi.

Il mio treno è vuoto: decido io chi sale e quando, decido io chi scende e quando. Il mio treno è puntuale e non ritorna. Il mio treno fa un solo viaggio.

La seconda stazione del mio treno.

La comprensione passa per la condivisione che passa per l’empatia che passa per la sensibilità che passa per il diventare Uomini che passa per non ragionare con l’uccello.

La terza stazione del mio treno.

Le soluzioni partono dalle domande, non dalle risposte.

La quarta stazione del mio treno.

Diffida di chi non ha vizi, scheletri nell’armadio, diffida di chi non fa altro che sorridere, di chi è sempre pronto a giurare, di chi non ha paura di morire e di chi rifiuta di farsi un drink con te. La diffidenza non è mancanza di rispetto, ma è rispetto del proprio futuro e salvaguardia del terreno che calpestiamo.

La quinta stazione del mio treno.

Poe sosteneva che un giorno l’abisso a forza di essere guardato avrebbe voluto, poi, guardare in noi, la mia quinta stazione è l’abisso, perchè io sono più curioso di lui.

La sesta stazione del mio treno.

E’ il posto dove ci si guarda negli occhi e si fa sul serio, dove si capisce chi il coraggio lo vende e chi ne ha da vendere ma se lo tiene stretto e lo usa per crescere. Qua non si aspetta la gente che corre, che parte in ritardo da casa o che altro da fare.

Anche i viaggi belli finiscono, si scende, si radunano i bagagli, si raccolgono i pensieri fatti durante il tragitto e si pulisce il sangue dalle scarpe: se ne pesta di gente morta quando si arriva alla fine di un percorso ad ostacoli.
Si accende una sigaretta, magari l’ultima di una lunga serie, magari.

L’ultima stazione del mio treno.

Si chiama il taxi e si torna a casa un po’ più vivi di quando si è partiti.
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17/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Cadeau

Cadeau


“L’aspetto che mi diverte dei regali è che so perfettamente cosa siano.”.

L’inutile boria del festeggiato.

L’aspetto divertente di un soggetto pieno di sé è che, spesso, sbaglia le proprie previsioni.

Ecco, ora c’è un bel pacco con un fiocco rosso.

La bellezza della sorpresa.

Il miglior regalo: il sorriso che sparisce dalla tua faccia e arriva sulla mia.

Il bello di parlare per metafore è il non dover spiegazioni.

Il bello di non dover dare spiegazioni è il non avere torto, la ragione, io, la lascio ai matti.
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15/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Sciacalli

Sciacalli
Diverso.

Non comune.

Insolito.

Fuori dal coro.

Il bello del non dover dare spiegazioni sta tutto nel non fare trasparire il proprio stato d’animo, vivendo nel riflesso dell’interlocutore.

Sciacalli emotivi.

Non si esce fra gli applausi.
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11/07/11 L'ultima stazione del mio treno

La prima parola

La prima parola
Qua non si parla di differenze.

Qua non si parla di un banale bivio.

Qua non si parla di divergenze, discrasie, differenze.

E’ la costante ricerca di battiti cardiaci alterati, respiri troncati, parole dette con quel fottuto secondo di ritardo, gesti rimasti inesplosi.

E’ la costante ricerca dell’errore.

Qua non si parla affatto.
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07/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Love-shake

Love-shake
L’amore fedele.

Miraggio, desiderato, corsa, rincorsa, cuori che scoppiano, occhi che guardano e vedono.

L’amore infedele.

Stanco trascinarsi, occhi curiosi confusi dalla nebbia del non detto.

Fedele, infedele.

Corpi, vite, cuori, ricordi.

Nel frullatore, sperando di aver pagato la bolletta della luce per farlo funzionare e di aver azzeccato gli ingredienti.

Amori frullati.
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05/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Big dreamers, big dreams

Big dreamers, big dreams
Il sottile ronzio della notte che passa.

Lo stridore dell’inconscio.

Lo strisciare delle idee che ti cercano, perchè sono loro che cercano te: che non vi illudiate mai del percorso opposto.

Il fuoco che brucia gli occhi nel buio, nella luce, nel fotocopiarsi di momenti, nel dejà vu.

Il cuore, che fa meno male solo quando ricordi che solo i grandi sognatori fanno grandi sogni.

E’ la tua insonnia. Gravida.

Big dreamers never sleep.
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04/07/11 L'ultima stazione del mio treno

Cielo e prato

Cielo e prato
Azzurro.

L’incontro fra emisferi di universi differenti.

Verde.

Ombre e luci fra gli spifferi dell’anima.

Verde e azzurro.

Cielo e prato.
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29/06/11 L'ultima stazione del mio treno

Occhi

Occhi


A volte guardare l’alba è come essere dispersi in città sconosciute, senza possibilità di ritrovarsi. 

A volte guardare l’alba è seguire l’istinto.

A volte guardare l’alba è solo un modo per non dormire.

A volte guardare l’alba è solo vedere il sole che sorge.

A volte guardare occhi di una sconosciuta che si conosce da una vita, è come guardare l’alba a Parigi non essendoci mai stati.
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25/06/11 L'ultima stazione del mio treno

La sedia vuota

La sedia vuota
La musica mi parla in Rue Marché-aux-herbes. Le note di una vecchia canzone francese, suonata da un gruppo di stanchi zingari.

Seduto al centro di un uragano di lingue e parole.

La blogger danese alla mia sinistra mi chiede se ho una sigaretta.

Di fronte a me quattro spagnoli bevono caffè annacquati.

Alla mia destra alcuni operai sistemano il pavé della piazza.

Tutto intorno: musica, lavoro, voci, universo. 

Rumori.

In realtà, è silenzio, se confrontato col fragore che emana la sedia alla mia sinistra, vuota, vuota.
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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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