Sedersi ad un tavolo. Io, sconosciuto in terra straniera. Il mio viso si approccia, come meglio può, a questa Babele di parole, volti e colori. Nella mia casa: lo straniero da odiare, incolpare, rimpatriare, catalogare, lo straniero nasce e muore nel nero delle sue impronte digitali. Nella Londra che torna, nuovamente, ad accogliermi, io sono lo straniero: salutato, coccolato, a cui non si nega un’indicazione, un sorriso, un brindisi quando torno in un pub dove, anni fa, avevo scelto di bere. L’abbraccio della fratellanza è tutta nelle parole di una giovane cameriera gallese: “Hi! How are you today?”.
Lei è mia sorella, la mia ancora prima del fondo.
Mi guarda mentre addento il mio pasto, la mia vita. Mentre scrivo attimi da ricordare sui quali, poi, la quotidianità sarà pronta a vomitare.
Il quotidiano: odiato, bistrattato, detestato, anche se utile, senza di lui non godremmo di momenti come questo. lo straordinario senza l’ordinario: privo della sua raison d’etre. Non sono un uomo ordinario, non perchè io sia migliore di altri, solo perchè so regalarmi uno sguardo oltre la banalità.
Mi godo questo sprazzo di solitudine osservata, dagli occhi di di Kate. Ho voglia di un caffè, la guardo e subito i suoi passi verso di me.
Vite ordinarie, rese uniche dalla mancanza di parole nella Babele d’Europa.
splendido…e ancora un piccolo cortometraggio 😉
cla!! grazie!!! dovrei fare un’altra raccolta di questi “corti” la foto ti piace?? original…fatta da me 😛