Oggi parliamo con grande piacere con Matteo Ferrario, nato nel 1975 in provincia di Milano, dove vive e lavora. Architetto e giornalista, collabora con riviste di costruzioni e di edilizia sostenibile. Ha pubblicato racconti nelle antologie “Via dei matti numero zero” (Terre di Mezzo, 2002), “Racconti diversi” (Stampa Alternativa, 2004) e “Q’anto ti amo” (Damster, 2014). Per Fernandel ha pubblicato il romanzo “Buia” (2014) e il suo ultimo romanzo “Il mostro dell’hinterland”.
Chi è Matteo Ferrario?
Uno che ha iniziato a scrivere storie ai tempi dell’università, mentre studiava architettura, e da allora ha cercato sempre un modo per conciliare questi due mondi. Quando facevo progettazione non era semplice trovare il tempo per scrivere con regolarità, ma è stato in quegli anni che ho pubblicato i primi racconti su antologie collettive e riviste letterarie. Poi ho iniziato a collaborare con riviste tecniche, il lavoro che faccio tuttora, e ho riorganizzato le mie giornate in modo da portare avanti con regolarità i progetti di scrittura. Nel 2014 ho pubblicato il primo romanzo, Buia, e quest’anno è uscito il secondo, Il mostro dell’hinterland.
Il tuo nuovo romanzo “Il mostro dell’hinterland” edito Fernandel, racconta la storia di Riccardo Berio, condannato all’ergastolo. Nelle pagine di questo libro ti sei ispirato a un fatto di cronaca risalente a qualche anno fa. Come mai questa scelta? Inoltre il tutto è ambientato in una Milano che ben conosci. Qual è il rapporto con la tua città?
Il fatto di cronaca a cui il romanzo è liberamente ispirato risale a dieci anni fa. Si era svolto in un’altra parte d’Italia, ma ne ero rimasto profondamente colpito perché il contesto sociale e familiare mi ricordava molto l’hinterland milanese in cui ero cresciuto. Il personaggio di Riccardo, che ha comunque una vita del tutto autonoma, ha iniziato a prendere forma all’epoca, ma un po’ come la protagonista di Buia, il romanzo precedente, ha avuto bisogno di qualche anno per trovare la sua storia. Stavolta ho scelto di partire dalla cronaca perché avevo in mente di scrivere un romanzo meno intimo del primo, più politico e, a dispetto dell’isolamento in cui vive il protagonista sia prima che dopo la sua incarcerazione, più rivolto verso la società e i suoi rapporti di forza. Riccardo vede tutto questo con lucidità ancora maggiore, proprio perché se ne è tirato fuori. I luoghi del romanzo – la cintura esterna di Milano – sono quelli che più conosco, ma anche l’ambientazione naturale per le storie che scrivo: sono convinto che alcune dinamiche di cui mi interessa occuparmi possano essere osservate meglio nei contesti periferici che nei centri delle grandi città. Il personaggio principale de Il mostro dell’hinterland è uno che nella sua esistenza ha sempre cercato di nascondersi, e questo è sicuramente un obiettivo che si può realizzare anche vivendo in mezzo al caos di una metropoli, ma in modi diversi: lì ci si rende invisibili attraverso l’anonimato, mescolandosi con la gente. In una comunità più piccola, come quella dove vive Riccardo, questo non è possibile, perché se partecipi anche solo un minimo alla vita sociale sei sempre individuabile, ed è a questo che lui cerca di sottrarsi, diventando un fantasma. Il mio rapporto con il posto in cui vivo è molto più semplice del suo, nel senso che sono abbastanza vicino a Milano da poterla frequentare con regolarità, ma al tempo stesso mi piace sempre tornare nella tranquillità dell’hinterland, e forse anche per questo non ho mai voluto andarmene.
Nel tuo romanzo c’è un personaggio molto importante, Mara. Ci vuoi parlare di come hai costruito il rapporto tra lei e Riccardo?
A un primo sguardo, Riccardo non è esattamente il tipo da cui ci si aspetta un passato interessante a livello sentimentale, ma in realtà è un personaggio molto complesso, dal carattere chiuso e pieno di segreti, e anche in questo campo riserva delle sorprese. Mara, come dice lui stesso in un passaggio, sarebbe stata la sua anima se ne avesse avuta una. Mi fa piacere che si parli di lei come di un personaggio importante per il romanzo, perché sono d’accordo: è la figura in cui si materializza lo scarto fra l’immagine mediatica del mostro Riccardo Berio e la verità del suo cuore. Nel rapporto con Mara c’è una buona componente di autolesionismo da ambo le parti, e anche un certo numero di occasioni perse, ma resta il fatto che lei rappresenta da sempre l’unica possibilità di salvezza per lui, il solo spiraglio che si è aperto nel corso della sua esistenza, che per altri versi sembra già decisa dall’inizio. Mara è l’opposto di Riccardo: una che non si risparmia e va incontro alla vita facendosi male, una ribelle. Sarebbe difficile definire Il mostro dell’hinterland una storia d’amore, ma di certo ne contiene una, come tutti i romanzi e i racconti che ho scritto finora: senza personaggi che amano o almeno ci provano, magari anche fallendo, credo che la letteratura perda gran parte del proprio significato, come la vita.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In questo periodo sto finendo il lavoro su un racconto, destinato a un’antologia collettiva mystery/noir cui sono stato invitato a partecipare, quindi credo sarà questa la prima uscita dopo Il mostro dell’hinterland. Poi c’è un libro di racconti non di genere ultimato da un po’, con altrettante protagoniste femminili raccontate dalla voce di uomini che ne erano innamorati, dopo la fine di tutto. Nel frattempo ho iniziato un nuovo romanzo. Sarà un terzo esperimento sulla prima persona dopo quelli dei primi due libri, con un protagonista che si rivolge direttamente alla donna della sua vita, in una sorta di confessione. Il suo punto di vista mi interessa in modo particolare, perché è quello del padre di una bambina ancora piccola, che cerca di fare del suo meglio, ma anche quello di un uomo che ha ucciso: uno dei “cuori di tenebra” di cui mi interessa sempre occuparmi, sia come lettore che come autore.