Allego un link con una bellissima recensione su Sugarpulp a firma di Federica Belleri.
Enjoy!
http://sugarpulp.it/lultima-intervista-recensione/
Allego un link con una bellissima recensione su Sugarpulp a firma di Federica Belleri.
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http://sugarpulp.it/lultima-intervista-recensione/
Ciao a tutti, questi sono gli appuntamenti di ottobre con “L’ultima intervista”:
11 ottobre Castelfranco Emilia (MO), ore 18.00, Rassegna Libri al…Centro;
14 ottobre Bologna, ore 18.00, Libreria Trame Via Goito 3/c, con Stefano Bonazzi e Nicola Santolini;
23 ottobre Argenta (FE), ore 20.30, Libreria Giralibri Via Giacomo Matteotti 38/c.
Non mancate!
Per chi oggi non fosse riuscito ad andare in edicola ecco l’articolo, a firma di Riccardo Corazza su La Nuova Ferrara di oggi, in cui si parla de L’ultima intervista.
Allego il link a una bellissima intervista di Gian Luca A. Lamborizio su MilanoNera in cui si annuncia l’uscita del mio nuovo romanzo L’ultima intervista.
Enjoy!
http://www.milanonera.com/intervista-a-paolo-panzacchi/
L’ultima intervista, uscito per Maglio Editore è ufficialmente disponibile da ieri. Nei prossimi giorni i dettagli sulle date delle presentazioni.
Oggi parliamo con grande piacere con Valerio Piperata, nato a Roma nel 1989. È studente di Lingua e letteratura russa alla Sapienza di Roma. “Le rockstar non sono morte”, uscito per Edizioni e/o, è il suo primo romanzo.
Chi è Valerio Piperata?
Sono uno studente di lingua e letteratura russa e inglese, venticinque anni, sono nato e vivo a Roma.
Il tuo romanzo “Le rockstar non sono morte” pubblicato per Edizioni e/o ci racconta la storia di Davide Fagiolo e della sua band. Com’è nata l’idea? Come ti sei approcciato al movimento musicale underground, fatto di band giovani piene di speranze?
L’idea è venuta dopo aver affrontato un percorso con la mia prima band (io suono la batteria). Abbiamo avuto una serie di disavventure, alcune comiche, altre tragiche, per cui, alla fine, ho pensato che potesse venirne fuori una storia dove ogni personaggio fosse una caricatura del reale, e ogni situazione spinta al paradosso, dove tendenzialmente si ridesse della miseria dei personaggi.
Ho avuto modo di conoscere le varie costellazioni di gruppi underground, per lo più romane, andandole a vedere ai concerti nei locali di periferia, suonandoci insieme, incontrandoli nei locali dove suonavano i “gruppi grossi”, scrivendone le recensioni sulle webzine. Ci sono comunque, specialmente nell’ultimo periodo, diversi gruppi che meriterebbero un pubblico più vasto.
Cosa senti di consigliare alle band musicali agli esordi che hanno nel cassetto il sogno di esibirsi un giorno davanti al grande pubblico? Secondo te il movimento musicale ha caratteristiche simili a quello della letteratura o sono mondi troppo differenti per poterne fare un confronto?
Consigli in assoluto non ne ho, non so neanche se esistano, ma posso parlare per quello che mi ha insegnato e sta continuando ad insegnare la mia tanto piccola quanto insignificante – ma reale – esperienza nella musica: se fai una band, e hai anche soltanto la sensazione che ci sia un briciolo di talento, di intelligenza, di nuovo, allora è il caso che, con entusiasmo, ci si faccia le date gratis nei locali di merda del tuo quartiere, si apra i concerti alle altre band, ci si metta su un furgone e si vada in giro per l’Italia a portare le proprie canzoni in giro. Fare un disco anche è essenziale, ovviamente, ma più per i locali che devono farti suonare che per la gente, che comunque la tua musica può trovarla ovunque su internet. Comunque, se tutto questo non porta niente nei primi anni, cosa quasi scontata, si deve andare avanti, farsi un pubblico man mano sempre più grande e poi, forse, riuscire a pagarti l’affitto e le bollette coi concerti, che oggi credo sia il nuovo significato di “successo”.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Scrivere romanzi.
Possono essere tutto come niente. Contengono, travolgono, arricchiscono, separano, uniscono, raccontano, inquietano, feriscono, fanno innamorare, fanno incazzare, nascondono, svelano.
Uccidono.
Sì, anche.
Statene alla larga.
Oggi parliamo con grandissimo piacere con Massimo Padua ravennate classe 1972. Ha pubblicato “La luce blu delle margherite” (Fernandel, 2005; II ed. 2010), “L’eco delle conchiglie di vetro” (Bacchilega, 2008), il mystery/noir “L’ipotetica assenza delle ombre” (Voras, 2009; Fernandel, 2015), la raccolta di racconti “Si sta facendo buio” (Voras, 2011), “A un passo dalla luna piena” (Fernandel, 2014), la serie thriller/horror a puntate “L’abbandono” (Lettere Animate, 2014/2015) e la silloge di poesie “Con pelle di spine” (Gilgamesh, 2015). È presente in diverse antologie, tra le quali “Racconti nella rete” (Nottetempo, 2008), “Io mi ricordo” (Einaudi, 2009) e “Per le strade di Roma” (Ensemble, 2014). È direttore editoriale della collana di narrativa mystery/noir “Oscura” per Antonio Tombolini Editore.
Chi è Massimo Padua?
Diciamo che sono un tipo solitario che allo stesso tempo ama stare in compagnia. Qualche volta, però, le persone delle quali mi circondo sono fatte di carta e inchiostro. L’importante è distinguere i due “gruppi”.
“L’ipotetica assenza delle ombre” è la storia di Marco uno scrittore in crisi che eredita una casa dal misterioso Signor Newman. Questo romanzo è appena uscito in una nuova edizione per Fernandel, ci racconti qualcosa di questo tuo progetto?
“L’ipotetica assenza delle ombre” è un romanzo dalle tinte fosche che è nato sgomitando, ha preteso tutta la mia attenzione e mi ha costretto a una dedizione che, forse, non avevo mai sperimentato prima. È stato pubblicato per la prima volta nell’autunno del 2009 dalla Voras edizioni ed è andato esaurito quasi subito, tanto da meritare un paio di ristampe. All’epoca, i “miei” lettori sono rimasti sorpresi: dopo i toni più delicati delle pubblicazioni precedenti, si sono ritrovati a leggere una storia densa di misteri e dalle atmosfere che viravano decisamente verso il noir. Ma a me non sono mai piaciute le etichette e, soprattutto, non mi lascio imbrigliare da un genere. Mi piace spaziare e scrivere le storie che, secondo me, meritano di essere raccontate. Il romanzo, comunque, mi ha dato grandi soddisfazioni (che poi sono tutto quello che si cerca, in fondo), ha vinto con mia grande sorpresa il Premio Perelà per il romanzo edito e pare non aver ancora terminato la sua corsa. Adesso Fernandel, l’editore con il quale ho esordito nel 2005 con “La luce blu delle margherite” e che ha continuato a credere in me con “A un passo dalla luna piena” dell’anno scorso, ha voluto recuperarlo. Inutile dire che gli sono grato, anche perché la storia di Marco e della casa del signor Newman è ancora viva, come se l’avessi scritta ieri. È un piacere tornare a parlarne.
“A un passo dalla luna piena” è un romanzo intenso, duro che sa emozionare e lascia senza respiro. Mi puoi raccontare come hai costruito la trama? Il personaggio di Simone è incredibilmente maturo per la sua tenera età, ci racconti questo personaggio e il suo modo di rapportarsi con la madre?
Ho covato questo romanzo per anni. Volevo raccontare una storia quotidiana, un piccolo grande dramma, un testo che si allontanasse dai temi che di solito prediligo. Ogni singolo capitolo è stato, per me, una scoperta. Diciamo che mi sono lasciato andare senza condizionamenti, senza pensare troppo a come avrebbero reagito eventuali lettori. In questo modo mi sono trovato tra le mani una storia che si può definire “normale”, almeno nelle prime due parti, ma che a poco a poco costringe i personaggi a discendere in un abisso dal quale uscire indenni non sarà così semplice. Il rapporto tra Simone e la madre, verso la quale il bambino ripone una fiducia che tende a sgretolarsi, rischia di essere compromesso per sempre fino a un finale solo all’apparenza rassicurante. Purtroppo il marcio si annida spesso dietro ciò che consideriamo accettabile e, viceversa, ciò che ci appare come pericoloso può rivelarsi l’unica strada per la salvezza. Non è stato semplice entrare nella psicologia dei personaggi di questo romanzo perché tutti nascondono un lato ambiguo, esattamente come la luna con le sue fasi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Oltre alla nuova edizione de “L’ipotetica assenza delle ombre”, in questi giorni è in uscita la mia prima silloge di poesie. Si intitola “Con pelle di spine” ed è pubblicata dalla Gilgamesh, una casa editrice che ha amato moltissimo il mio lavoro e che ha voluto investire su questo progetto. Poi ho un paio di romanzi in cerca di editori: una storia per ragazzi – un’esperienza che mi ha divertito – e un “quasi horror” che mi piacerebbe vedere pubblicato l’anno prossimo. Adesso sto lavorando alla stesura di due nuovi progetti, ancora una volta molto diversi tra loro. Nel frattempo collaboro con Antonio Tombolini editore in veste di curatore della collana di narrativa noir/mystery “Oscura”. Diciamo che non mi annoio…
Vorrei essere seduta davanti al Blackfriars Bridge, non è un luogo come tanti altri, ha una storia, ha qualcosa che mi attrae. Mi piacerebbe respirare un’aria malvagia, malsana, quello che per me è ossigeno, mentre per altri sarebbe solamente un’inalazione di pura inquietudine e rabbia. “Ma cos’è poi questa rabbia di cui parlano tutti?”. Dopo questa domanda credo mi siederei sulla banchina davanti al fiume imponente e mi accederei una Camel blu e valuterei bene come continuare questa serie di pensieri. Butterei fuori una nuvola di fumo e continuerei. “La rabbia è uno stato fisico, non ha nulla a che fare con l’anima per come la vedo io. Sudore, brividi di freddo anche nelle notti più calde e afose, quella deliziosa sensazione di battiti a vuoto, quando senti che il petto possa scoppiarti o quando pensi che il tuo stomaco possa dilatarsi all’infinito sino ad ingoiarti per intero”. Il fiume scorrerebbe e io osserverei ciò che di giorno potrebbe essere di un colore che somiglia a un blu intenso e che di notte si proporrebbe nero, oscuro, come l’inganno dell’uomo, nero e malato come ciò che incontro ogni giorno.
Adoro pensare a quello che vorrei.
Io sono Cat e posso desiderare ogni cosa.
Oggi parliamo con grande piacere con Gian Luca A. Lamborizio, alessandrino di nascita e milanese di adozione, ha frequentato il liceo classico e proseguito gli studi in ambito giuridico; ad essi ha affiancato lo studio del Cinese. È autore di “AAA Futuro cercasi. Essere giovani in tempo di crisi.” e collabora con settimanali e con la rivista online MilanoNera, diretta dallo scrittore Paolo Roversi. Da poco è uscito per Eretica Edizioni il suo nuovo libro, “Penombra”.
Chi è Gian Luca A. Lamborizio?
Uno che fino ai tempi del liceo odiava scrivere e ai temi preferiva i riassunti. Passando all’università, oltre ai classici ho iniziato a leggere altri generi, soprattutto thriller e noir e da lì ho iniziato a lavorare con la fantasia. Ad un certo punto, poi, ho deciso di mettermi in gioco in prima persona e tentare di scrivere qualcosa di mio. Dopo la partecipazione ad alcuni concorsi letterari, la collaborazione con settimanali e riviste e l’uscita, tramite self publishing, di “AAA Futuro cercasi. Essere giovani in tempo di crisi”, sono arrivato alla pubblicazione di “Penombra”. Ora la scrittura è parte importante di tutte le mie giornate.
Per il tuo libro “Penombra”hai scelto una chiave narrativa particolare, una serie di racconti collegati tra loro. Come mai hai fatto questa scelta? Ci racconti com’è nato il personaggio del Commissaro Molteni e la sua psicologia?
I cinque racconti di “Penombra”, sebbene trattino di argomenti diversi tra loro e solo in alcuni si trovi lo stesso protagonista, presentano effettivamente degli elementi comuni. In primis, senza dubbio, la penombra, elemento ricorrente e che descrive sia i vari ambienti esterni in cui i personaggi si muovono, sia il lato oscuro che tengono celato dentro di sè. Quindi “penombra” sia in senso fisico che come metafora della psiche umana. E qui arriviamo ad un altro elemento comune e al motivo per cui ho deciso di scrivere più racconti. Il mio intento era proprio quello di far entrare il lettore in alcune menti criminali e malate, non limitandomi però a raccontare “il mostro” e i suoi misfatti, bensì cercando di far capire cosa può spingere delle persone, apparentemente normali, a compiere orrendi delitti.
Il commissario Molteni è, oserei dire, una persona normale, sicuramente non un super eroe o uno 007. Un giovane uomo già segnato da tragici eventi, che affronta i casi che deve risolvere con dedizione, attenzione per i dettagli e molta umanità.
Oltre a essere un autore collabori anche con MilanoNera. Ci parli di questa tua esperienza?
Un’esperienza nata quasi per caso, da una proposta editoriale. Da lì sono entrato in contatto con la mitica Cristina e con la realtà di MilanoNera. Mi occupo di recensire le nuove uscite nel panorama letterario thriller e noir e di intervistare gli autori. Un’esperienza indubbiamente positiva e interessante perché mi permette di leggere molto, di valutare i vari generi e stili e di conoscere alcuni dei più brillanti scrittori del momento, da cui ho sicuramente molto da imparare.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono in attesa dei risultati di un concorso nazionale a cui ho partecipato e quindi incrocio le dita. Inoltre sto lavorando ad un nuovo libro, un romanzo questa volta. Si tratta sempre di un noir, lo definirei un noir psicologico, scritto in prima persona, e sarà presente anche il commissario Molteni. Però, anche se non voglio anticipare troppo, posso dire che non sarà lui il protagonista assoluto; questa volta ho voluto cambiare prospettiva.