“Il resto è storia recente, caro commissario!”, l’uomo di fronte a me ha ascoltato pazientemente e in silenzio la mia ricostruzione dei fatti, ho deciso di confessare quando ho capito che non c’era più modo di uscirne, quando è stata mostrata quell’unica prova schiacciante, quell’oggetto che sancirà la mia condanna: quella dannata sciarpa gialla.
Quando ho gettato il corpo del ragazzo nel cassonetto ho commesso il fatale errore di pulirmi il sangue dal collo con quella sciarpa, con l’arma del delitto, purtroppo avevo perso lucidità nella lotta feroce di qualche istante prima, già intuivo che sarei stato vicino alla fine, ma non sono stato in grado di porvi rimedio. Forse ho voluto che mi trovassero, che capissero chi fossi e cosa avessi commesso in questi otto anni: ho confessato tutti i miei trenta omicidi, l’ubicazione dei poveri resti delle mie vittime e le modalità dei loro omicidi. Mi sono arreso, con piacere, a questo commissario così intelligente e scaltro, certo, ma anche aiutato da due miei grossolani errori.
“Direi che la nostra chiacchierata mio caro commissario è finita, le ho confessato tutto, quindi ora vorrei conferire con il mio legale e fumarmi una sigaretta in santa pace.”, lui mi guarda interdetto, “Scusi, ma crede di essere nella condizione di dettare legge? Non scherziamo, voglio sapere il perché? Mi dica cosa l’ha spinta a commettere queste brutalità!”, chiudo gli occhi e sospiro, “Commissario, avevamo iniziato così bene e ora lei mi offende?! No, ora non avrà più una mia parola fino all’arrivo del mio legale, sono spiacente!”, se ne va sbattendo i pugni sul tavolo.
Sono solo nella stanza degli interrogatori, mi accendo una sigaretta, quell’uomo non sa di aver commesso un errore imperdonabile.
Finisco di fumare e guardo la sciarpa gialla davanti a me, mia condanna e mia salvezza. Troveranno il mio corpo impiccato al termosifone, concludere la mia vita in questo modo mi dispiace, ma al momento non vedo vie d’uscita, pagherò i miei errori, ma non è della giustizia degli uomini che vado in cerca.
Quando piove te ne vai. Guardi indietro e te ne vai. Cosa vedi? Questo è il problema. L’impossibilità di essere obiettivo nel momento della tua fuga. Spesso, le fughe, sono atti vili, sono atto di rinuncia, alzate di spalle,.
Certe volte, invece, è solo una presa d’atto, della totale mancanza di prospettive.
Fai la valigia. Piove merda dal cielo.
Fai la valigia. Piovono lacrime dal tuo presente.
Fai la valigia. Piovono parole dalla tua bocca.
Fermati, quando non hai più nulla da dire.
Qua non si parla di viaggi di relax, qua non si parla di vacanze. Qua si parla d’altro: di cambiamento, di voglia di esplorare, di ricostruirsi, di cambiare, di trovarsi e di trovare.
Sì, perchè io la penso proprio così: solo con un viaggio, solo partendo da un punto A e girando nell’orizzonte che scegliamo di vedere si possono rimettere a posto le cose che abbiamo dentro, le cose in disordine, le vite in disordine.
Ci sarebbe poi da discutere sul concetto di ordine: ordine e disciplina, ordine morale, ordine mentale, ordine della propria scrivania, della propria vita, del cazzo che ti pare.
Ma l’ordine vero, che cos’è? Tutte le cose al loro posto? Un’agenda perfettamente compilata? Un planning eccellente e attendibile al millesimo di secondo?
NO!
L’ordine è avere un orizzonte.
L’ordine è sapere come ti chiami ad ogni ora del giorno.
L’ordine è svegliarsi nel letto giusto.
L’ordine è smettere, ma ripartire.
L’ordine sei tu.
Il disordine sono gli altri.
Mi sono seduto su una panchina, con il biglietto del treno in mano, con i sogni dietro gli occhi e con tutti i miei dubbi, lì, accanto a me, sulla mia valigia.
Oggi parto per un viaggio, salirò sul mio treno, fino alla sua ultima stazione. Voglio ricominciare a scegliere, a decidere, ad avere peso specifico con l’altra parte di me stesso.
Inseguito dai miei perchè, rincorro i miei perchè no.
Il treno è arrivato, guardandomi attorno salgo, trovo il mio posto e mi tolgo la giacca: amo viaggiare comodo.
Le carrozze iniziano a muoversi, siamo partiti, voglio la mia stazione, voglio le mie risposte. Accendo il mio laptop, ho una storia da scrivere, la mia? Quella di tutti noi?