Dostoevskji diceva che quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità il tempo non esisterà più. E’ forse per questo che ognuno riesce durante una giornata a controllare l’ora in almeno dieci modi differenti?
Dostoevskji diceva che quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità il tempo non esisterà più. E’ forse per questo che ognuno riesce durante una giornata a controllare l’ora in almeno dieci modi differenti?
Il momento stesso in cui la forza che senti dentro è più grande del corpo che ti trascini dietro, ecco, questo significa diventare grandi.
Oggi parliamo con piacere con Solidea Ruggiero, scrittrice e performer di arte visiva. Ha pubblicato la sua prima fatica letteraria “Io che non conosco la vergogna” con Edicola Ediciones, casa editrice cilena.
Chi è Solidea Ruggiero?
E’ una domanda tremenda, non dovrei rispondere io. Penso comunque che nessuno sia mai identificabile stabilmente in una definizione; siamo le espressioni che prendiamo e mutiamo nel tempo, in base agli accadimenti e alle esperienze, mantenendo in seno uno stesso continuo calore e dei principi solidi di base che ci fanno da perimetro. Pensare di essere sempre gli stessi mi spaventa, è come sputare in faccia alla vita, come se niente ci toccasse o coinvolgesse, lo credo impossibile.
Parliamo del tuo libro “Io che non conosco la vergogna”?
E’ la mia prima pubblicazione, una raccolta di racconti edita da una casa editrice cilena, Edicola Ediciones (www.edicolaediciones.com). Ho avuto la fortuna di pubblicare all’estero e sono stata tradotta in spagnolo ed inglese, oltre che la versione italiana. E’ una grande esperienza quella che sto facendo. Il lavoro di Edicola, che in parte è italiana come il mio editore Paolo Primavera, è basato su un pensiero internazionale e un lavoro meticoloso e attento. Abbiamo partecipato alle più importanti fiere internazionali del sud america, oltre che a Torino e in Spagna. Ogni giorno c’è una notizia per la quale io rimango incredula. Sono molto fiera del loro lavoro. Il libro poi vede la prestigiosa post fazione del critico, artista e scrittore Gian Ruggero Manzoni e la copertina di un grande artista spagnolo, conosciuto anche nel nostro territorio, Santiago Morilla, che è anche il direttore artistico della collana. E’ un primo viaggio di cui sono molto orgogliosa in tutti i suoi aspetti, che mi sorprende continuamente per le grandi possibilità e potenzialità.
Le tue performance di arte visiva sono molto seguite e di grande impatto, quale fra quelle che hai realizzato senti più vicina al tuo modo di essere?
Da matrice assoluta c’è sempre la scrittura che fa da collante in tutte le espressioni che scelgo per comunicare contenuti, ricerche, indagini sul mio personale pensiero umano e sociale. Sicuramente l’ultima che è accompagnata da una video-installazione, Skin, mette insieme molti aspetti del mio percorso. Passare dall’esperienza dei reading, sempre affiancati da una studiata geografia musicale e video, al comunicare esclusivamente in silenzio e con la scrittura sul corpo affidandosi e facendosi affidare dal pubblico, ha a che fare con i miei riferimenti culturali e artistici sull’origine della performance, attraverso un dialogo empatico, umano e singolare. Credo fortemente che in ogni espressione o linguaggio artistico, il più grande valore sia l’esperienza. Ogni genere di opera è innanzitutto un’esperienza e come tale deve essere vissuta, prima che valutata. Ecco perché necessito di tessere una comunicazione, un dialogo con chi assiste, perché vorrei fosse partecipativo, fosse vissuto in modo da dare origine al vero senso di fronte a l’ avvenimento o lavoro artistico: l’interpretazione attraverso il nostro singolare mondo.
I tuoi progetti per il futuro?
Sto collaborando a vari progetti che come spesso mi accade, si spostano dal mio lavoro e indole in scrittura. Lo scambio con altri linguaggi e artisti è molto importante per me sia sul punto di vista di evoluzione e di crescita che di ricerca personale, e la fortuna di poterlo fare è enorme, anche perché non collaboro mai a progetti o con persone per la quale non nutro un’accecata stima. Ho partecipato ad un progetto cinematografico molto importante con i Minimal Cinema, di cui presto ne sentiremo parlare; nel 2015 riprenderò con le performance alcune delle quali sono già state decise come a Roma, Bologna e Firenze. E c’è un esperimento che sto facendo assieme ad un artista del mondo del disegno e dell’illustrazione, che se andrà in porto sarà davvero singolare. Grazie Paolo.
Oggi su La Nuova Ferrara è stata pubblicata “Castello” la seconda puntata del mio racconto “Il diamante giallo”, la ripropongo per chi oggi non abbia acquistato il giornale.
I passi verso il ponte sono sempre difficili. Di che ponte parlo? Di quello sospeso, di quello sotto al quale nulla scorre se non la schizofrenia dello trascorrere del tempo.
Corri e non guardare, corri. Prima o poi l’altra parte del tuo mondo arriverà.
Corri. La strada è lunga, prendi fiato prima di partire.
Oggi parliamo con piacere con Francesca Mazzoni, romagnola, attrice teatrale e scrittrice. Da poco ha pubblicato con la Società Editrice Il Ponte Vecchio il suo romanzo d’esordio “Una mente insolente”, un libro dove, citando l’autrice “Si ride e si piange e lo si fa profusamente”.
Chi è Francesca Mazzoni?
Sono nata Francesca, sono diventata Viola e quel nome è per me una medaglia sul campo di battaglia della vita. Chi è Francesca Mazzoni? Anzi, a questo punto, chi è Francesca Viola Mazzoni? Un’attrice teatrale. Ho iniziato con la danza da ragazzina e a 14 anni ho debuttato come protagonista in un musical. Quaranta chili di ragazzetta con la voglia di sbranarsi il pubblico. Ho studiato tanto, ho lavorato tanto. Sono cresciuta come “votata” al Teatro, con un senso di missione che mi ha sempre fatto essere estremamente determinata e metodica. Per me il teatro era la vita. Non c’erano margini, né approssimazioni. Mi sono sempre vissuta come una suora laica investita da una chiamata senza averla decisa, una chiamata che è stata dono e condanna. Col tempo sono diventata più flessibile, più flessuosa. Poi è capitata la scrittura a scompigliare le carte in tavola, a rimettermi in discussione fino all’essenza di me stessa. C’è un prima e un dopo nella mia vita. Anche a livello professionale.
Avevo scritto piccole drammaturgie teatrali, monologhi su figure femminili che per me sono state un riferimento, donne che hanno fatto la differenza nella Storia con le loro storie, ma non ero mai entrata così di pancia nella scrittura. La covavo da anni, ma è sbocciata all’improvviso, esattamente nel momento giusto, senza forzature.
Ecco, credo che volendo sintetizzare, di me si possa dire di tutto ma non che sono una che si è mai sottratta alla vita. E di questo me ne sono grata, benché l’anima ne sia uscita un pò sdrucita. Dolorante ma intonsa come quella delle persone che hanno l’ardire di vivere senza barare.
Parliamo di “Una mente insolente”, un romanzo sensibile e pieno di forza, con Allegra grande protagonista. Com’è nato questo libro?
E’ nato creando un blog mio in un periodo in cui, soffrendo di insonnia, riempivo il silenzio della notte di parole che consolassero. Caricavo in modo compulsivo racconti che parevano essere incastrati lì da tanto tempo e che ora avevano urgenza di fluire, di farsi parola. Ho aperto il blog ad Aprile e dopo pochi mesi non solo avevo quasi diecimila visualizzazioni, ma sono anche stata contattata da un’editrice interessata a stampare. Successivamente, una volta che ho iniziato davvero a credere che ne sarebbe nato un libro in carne e carta, ho scelto Ponte Vecchio perché ne conoscevo la serietà del lavoro. Il libro è nato sì per caso (è significativo anche il fatto che non sia un romanzo, ma un collage di racconti, di flash di vita della protagonista), ma per una mia volontà che custodivo nel cuore da moltissimi anni: quella di parlare del mondo della “follia” e del “male di vivere” con uno stile che non fosse pesante e crudo come avevo riscontrato nei libri sull’argomento. Io volevo parlare di disagio senza mettere a disagio! Volevo farlo con levità e ironia, facendo passare il messaggio che il male di vivere, l’inadeguatezza emotiva, le patologie psichiche sono comunque parte della vita e, come tali, non possono essere cristallizzate in tabù nè demonizzate.
La protagonista, Allegra, solo vent’anni, è una funambola di vita tenuta in ostaggio da diverse problematiche psichiatriche, si salva attraverso la sua fantasia, il suo modo puro di guardare il mondo, la sua voglia di sdrammatizzare attraverso il ridere. E’ una bimba, ma con la saggezza di un’anziana.
Questo stesso atteggiamento è riscontrabile nei personaggi che le ruotano attorno, facenti parte di un’umanità sì dolente e sghemba, ma curiosa e resistente. Un’umanità che, per alcune vicende personali, ho avuto modo di approcciare e che mi ha letteralmente conquistata. Alla vitalità surreale e salvifica di queste anime delicatamente intense ho voluto dare voce con la mia scrittura. Sembra un paradosso, ma il libro è una vera e propria apologia della vita.
Francesca, attrice, ora anche scrittrice. Quale dimensione senti a te più affine?
Non so distinguere le cose. Non è possibile farlo, perché non vivo a compartimenti stagni. E, in questo momento in cui sono più impegnata nella scrittura con la promozione del libro, ho però trovato l’escamotage di recitare brani durante le presentazioni. Scrittura e teatro si completano e mi completano. Fanno di me quella che sono: Francesca Viola.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Di sicuro non mollerò la scrittura, anzi, ho già in testa l’idea per un nuovo libro, sempre incentrato su una donna un po’ speciale, imprevedibile. Non so se stavolta passerò dal blog come ho fatto con “Una mente insolente”, benché sia un mezzo che amo perché lo sento come immediato, come se potessi raccontare le mie storie alla gente in tempo reale. Mi sa di intimità, anche se pare un paradosso.
Per quanto riguarda la mia carriera d’attrice ho alcune date in programma, il 12 Dicembre sarò al Teatro Alighieri a Ravenna come voce recitante accompagnata da pianoforte e da un coro lirico in uno spettacolo sulla resistenza partigiana. Al momento, resto concentrata piacevolmente sulla promozione del libro e chissà che non mi venga in mente di metterlo anche in scena! Lo stile che ho usato, colloquiale e diretto e l’uso della prima persona singolare fanno sì che il testo sia adattabile facilmente al linguaggio teatrale, codice a me assai conosciuto. Staremo a vedere!
(La foto è uno scatto di Cristina Patuelli)
Oggi parliamo con piacere con Sara Argentiero, poetessa e scrittrice. Da pochissimo ha pubblicato con LietoColle il suo “Dire di rabbia sottile”, un romanzo scritto in versi, fra speranza e dolore.
Chi è Sara Argentiero?
Sara sono semplicemente io, senza veli né maschere. Difettosa e fabbricata male. Sempre affamata di conoscenza e con un solo bisogno: scrivere.
Parliamo di “Dire di rabbia sottile”. Qual è la storia di Felicia?
“Dire di rabbia sottile” racconta, appunto, la storia di Felicia. Raccoglie le testimonianze reali e immaginarie di una giovane donna affetta da una grave forma di isteria, sfociata in uno stato di perenne allucinazione in cui non è possibile distinguere il vero dal falso. Questi versi sono la storia di un dolore non svelato, appartengono a ciò ha fatto nascere e potrebbe far scomparire quello stesso dolore: il dramma, l’amore, l’oblio, i ricordi e infine la morte che Felicia, in un momento di sconcertante coscienza, sceglie per liberarsi da una condizione ritenuta non umana. In “Dire di rabbia sottile” si raccontano la malattia, i ricordi drammatici e le carezze sottili. Questi versi parlano di violenze e sogni, orrori e delizie. Raccontano un legame e un abbandono.
Il tuo è un romanzo scritto in versi. In passato ti sei confrontata con la poesia con ottimo profitto. Qual èfra narrativa e poesia la dimensione che senti a te più affine?
La poesia è una necessità e raccontare la storia di Felicia non sarebbe stato possibile con un linguaggio diverso. Si sarebbe perso ciò che invece è centrale: le pause, i silenzi, le vibrazioni e tutti i particolari legati a sensi diversi dalla vista. Solo la poesia può rendere concreto ciò che non lo è.
I tuoi progetti per il futuro?
Sto lavorando a una raccolta di monologhi femminili sull’elaborazione del dolore e sulle conseguenze che quel dolore ha non solo sulla mente, ma in particolar modo sul corpo di una donna e ho appena finito di scrivere la prima stesura del mio prossimo romanzo che, mi auguro, sarà pronto in primavera.
Oggi su La Nuova Ferrara è stata pubblicata “Stazione” la prima puntata del mio racconto “Il diamante giallo”, la ripropongo per chi oggi non abbia acquistato il giornale.
Corre corre, l’ombra nera.
La corsa e la rincorsa, il rumore dei passi.
Non cercarla, l’ombra, sarà lei a trovare te.
E’ come i giochi pericolosi quando si è bambini. E’ come il fuoco. Il forno caldo. Il famoso cane che dorme.
Corre corre, poi arriva.
Con piacere oggi parliamo con Danila Bigazzi, web designer e non solo. Da Candyclouds a Broken Fork, un mondo legato al web e al gusto per il buon cibo.
Chi è Danila e cos’è Candyclouds?
Danila è una ragazza solare, perché credo sia l’aggettivo che ho sentito più volte associato alla mia persona in trent’anni. Danila è una trentenne solare, è “quella dei conigli” perché ne è pazza, è bolognesissima e innamorata di Bologna, fa la web designer ufficialmente dal 2008 e si trova in una delle fasi più soddisfacenti, produttive e creative della sua vita.
Candyclouds è nato nel 2005 come portfolio personale dove raccogliere i lavori più significativi che ha fatto da quando tiene in mano un mouse, e che la riempie di soddisfazioni.
Qual è il progetto che te ne ha date di più?
Non sono sicura di poterne parlare per problemi di riservatezza, perché l’ho realizzato come consulente esterna, ma posso dire che andare due volte a Londra per presentarlo e non solo scoprirsi in grado di farcela ma tornare nella soddisfazione generale, sia dei clienti finali che delle aziende per cui lavoravo, mi ha riempito di orgoglio!
Com’è nata l’idea di The Broken Fork?
Negli ultimi anni per motivi sia professionali che squisitamente personali mi sono avvicinata molto al mondo del cibo. Ho scoperto che mi piace veramente a 360 gradi, a partire da quello della mamma che mi ha sicuramente abituata bene. Mi piace il cibo “da strada” semplice, quello da trattoria, quello ricercato. Mi piacciono dolce e salato, senza differenze, a volte anche insieme, gli accostamenti tradizionali e quelli più originali e contrastanti, gli ingredienti di tutti i giorni, quelli mai sentiti, quelli autoprodotti. Non ho una preparazione specifica su cibi e vini se non per gusto personale e per quello che assorbo dalle persone dell’ambiente che ho la fortuna di incontrare e conoscere, mi limito a raccontare nel modo il più informale e schietto possibile cosa mangio e dove lo mangio per condividere i posti validi con chi vuole seguirmi!
I tuoi progetti futuri?
Direi che il più imminente, ambizioso ed adrenalinico è sicuramente tornare freelance a partire da gennaio 2015! Ho fatto una cosa folle per i nostri tempi, scegliendo una scommessa e rinunciando alla sicurezza. La creatività e il network di supporto di certo non mi mancano, quindi confidiamo che in realtà non sia proprio un salto nel vuoto totale. Dopo un periodo personale un po’ impegnativo, ho scelto di puntare su di me, di smettere di aspettare che cambi qualcosa e di essere io a rendere la mia vita pienamente soddisfacente…incrociate le dita per me!